mercoledì 27 novembre 2013

Uno per due: I Capaltéz e I Ranocchi fritti con i marroni di Castel del Rio

Il Santerno, il nostro fiume e la sua vallata che si estende fino alla Toscana, per noi imolesi è l'ombelico del mondo. Lo amiamo in modo viscerale, lo preferiamo al mare e ne conosciamo i punti più nascosti e suggestivi dove andare d'estate a fare bagni rigeneranti.

Conosciamo ogni osteria e chiosco di piadina che albergano lungo la Montanara, la statale che affianca il fiume. Sappiamo dove sono le aziende agricole che coltivano i nostri migliori prodotti locali.
Partecipiamo con entusiasmo a tutte le iniziative che da anni promuovono la nostra tanto amata Vallata del Santerno e i suoi prodotti, come la polenta di Tossignano, la pié fritta di Fontanelice e il marrone di Castel del Rio, eccellenze diventate famose in tutta Italia.

Ho vissuto per 16 anni a Fontanelice, uno dei paesi della vallata e un pezzetto del mio cuore è rimasto li.

Oggi voglio proporre due ricette tipiche del territorio imolese e della sua vallata, due antiche ricette che in comune hanno lo stesso ripieno ma che in realtà una è un primo piatto e l'altro un dolce: I Capaltéz e I Ranocchi fritti.
Componente principale del ripieno di questi due piatti è il marrone di Castel del Rio.

Cos'è il Marrone di Castel del Rio?

Nel 1559 la Valle del Santerno offrì in dono al Governatore di Romagna "dodici paia di capponi, cento libbre di formaggio Marzola, cento pomi da Rosa dette mele paradise, quaranta tordi, due lepri e sei corbe di Marroni".
Tra i più prelibati frutti di questa terra, non potevano mancare i marroni.

Fin dal medioevo queste delizie delle tavole aristocratiche rappresentarono la base dell'alimentazione delle genti montane. Intorno all'anno 1000, sugli Appennini, i castagneti da frutto presero il posto dei boschi di querce e i castagni divennero una risorsa fondamentale, vere e proprie piante di civiltà. Tanto è vero che il castagno era chiamato, dalle popolazioni montanare, l'albero del pane.

La Valle del Santerno conserva come un prezioso tesoro, le antiche selve di grandi castagni. Ettari ed ettari di questi alberi maestosi, pieni di storia, con un sottobosco ricco di felci, hellerborum, primule, funghi e tartufi. 
E' da questa pianta che nasce il prelibato marrone di Castel del Rio.
I marroni sono ben diversi dalle più comuni castagne.
In primo luogo, il marrone si distingue per il gusto: più dolce e profumato, racchiude ed esalta gli aromi e i sapori del bosco.
Inoltre il marrone ha una pezzatura maggiore rispetto alla castagna, tanto è vero che un riccio racchiude al massimo 2 o 3 frutti.
Ultima delle sue qualità, il marrone è protetto da una buccia bruna e da una sottile pellicina che possono essere asportate con estrema facilità, operazione quasi impossibile con le castagne.

La squisitezza e la naturalità di questo prodotto fanno dei marroni l'ingrediente principe di numerose preparazioni culinarie che, in autunno, trionfano sulle tavole dei gourmets.
A tutela di questo autentico patrimonio gastronomico i castanicoltori di Castel del Rio si sono riuniti in un Consorzio e hanno ottenuto il riconoscimento europeo di Indicazione Geografica Protetta.
L'I.G.P. assicura la qualità e la genuinità dei marroni di Castel del Rio e ne accompagna la vendita in Italia e all'estero.

Nella coltivazione dei marroni, infatti, non si ricorre ad alcuna sostanza chimica.
Le piante si nutrono esclusivamente di quello che la terra offre loro spontaneamente, senza concimi o trattamenti antiparassitari. Questa prelibatezza gastronomica è un dono tutto naturale del sole e della terra, prodotta nel massimo rispetto della salute e del'ambiente.

La qualità superiore di questo frutto ne facilita anche la conservazione e nel medio evo era diventato una pregiata merce di scambio, tanto da essere molto ambito anche a Parigi e al Cairo.
Come fare a conservarli?
Dopo la raccolta si selezionano solo i frutti sani e si mettono a bagno in acqua per circa otto giorni, in modo da provocare una leggera fermentazione. Si fanno poi asciugare in locali ben aerati e si conservano in sacchetti di yuta.



I Capaltéz

Tipico primo piatto di magro della Vigilia di Natale, nato nell'epoca rinascimentale ma ancora preparato soprattutto nei paesi di montagna della Vallata del Santerno.
Nella foto sotto si vede la mia tavola apparecchiata con il piatto dei salumi che non è certo di magro, ma quella è la tavola si sabato sera scorsa! :))
Viene preparato con la spoja matta, chiamata così perché la sfoglia da noi si fa categoricamente di sole uova e farina, mentre questa è impastata prevalentemente con l'acqua, quindi matta (finta).
Va condito con olio extravergine e abbondante pepe per smorzarne la dolcezza dell'impasto.



Ingredienti per la pasta per 8 persone
600 g di farina 0
1 uovo
acqua quanto basta per impastare

Ingredienti per il ripieno
1 kg di marroni
200 g di marmellata tipo mostarda bolognese
100-150 g di noci tritate
100 g di cacao zuccherato
1 bicchierino di rhum (io saba)
2 cucchiai colmi di zucchero a velo


Impastate bene la farina di grano con l'uvo e acqua necessaria per ottenere un impasto morbido ed elastico. Lasciate riposare per mezz'ora.
Tirate una sfoglia sottile e tagliate dei quadrati di circa 5 cm di lato o dei tondi di circa 10 cm di diametro.
Preparate poi l'impasto per il ripieno: lessate i marroni, sbucciateli e passateli al passaverdure; aggiungete rhum, zucchero a velo, noci tritate molto finemente, cacao e mostrarda (io ho utilizzato la mia home made,di cui trovate la ricetta qui). 
Amalgamate il tutto e mettetene delle dosi a piacere in ogni quadrato di sfoglia.
Chiudete la sfoglia alla maniera dei cappelletti.
Condite con olio extravergine di Brisighella e abbondante pepe macinato.



I Ranocchi fritti

I ranocchi fritti sono una ricetta di mia nonna Stellina e devo dire la verità non li ho mai mangiati da nessuna parte se non nella mia famiglia. La mia nonna non c'è più da quarantanni e quindi ho chiesto alle mie zie notizie delle origini di questo piatto, ma ahimè nessuna di loro mi ha saputo aiutare.
In ogni caso è un dolce fantastico perché viene preparato con la sfoglia per le sfrappole e viene poi condito con rosolio e zucchero. Una goduria allo stato puro! Provarli per credere.
Per spiegare come si compone il ranocchio ho girato con il telefonino un video da sola...abbiate pietà...:))



Ingredienti per circa 30 ranocchi:

Per la pasta:
150 gr di farina di farro (enkir mulino marino)
100 gr di farina 0
1 uovo 
1 cucchiaio di zucchero di canna
1 cucchiaio di liquore all'arancio
50 gr di burro
succo di mele bio
scorza grattugiata di mezzo limone

Ingredienti per il ripieno
300 gr di marroni
60 g di marmellata tipo mostarda bolognese
50 g di noci tritate
30 g di cacao zuccherato
1 bicchierino di rhum (io saba)
1 cucchiai di zucchero a velo

Preparazione della pasta.
In una terrina sbattere l'uovo, con lo zucchero,  il liquore, la scorza del limone e il burro fuso. 
Come liquore ho utilizzato il mio profumatissimo elisir di arance (ricetta qui).
Setacciare insieme le due farine e incorporarle ai liquidi un poco alla volta. Aggiungere succo di mele quanto basta per ottenere un impasto liscio. 
Formare una palla, coprirla con una tazza e lasciare riposare una mezz'ora.

Preparare i ranocchi in questo modo:


Friggerli in abbondante olio di semi bollente.
Asciugarli bene su una gratella e condirli con una sprizzata di rosolio e poco zucchero di canna.
Il rosolio lo trovate qui.


Queste ricette partecipano all'MTChallenge di Novembre, che ha come tema Le Castagne proposto da quella deliziosa fresca sposina un po' retrò di Pici e Castagne.



E per finire l'ode alla castagna, poesia imparata a memoria dal mio nipotino Pietro, dove ha meritato il supervoto Bravissimo!

La Castagna.
C'è un frutto rotondetto, 
di farina ne ha un sacchetto: 
se lo mangi non si lagna, questo frutto è la castagna.
La castagna in acqua cotta
prende il nome di ballotta.
Arrostita e profumata
prende il nome di bruciata.
Se la macino è farina, 
dolce, fina e leggerina.
Se la impasto che ne faccio?
Un fragrante castagnaccio! 



lunedì 25 novembre 2013

La piada dei morti e così sia

E' da tempo che volevo pubblicare questa ricetta, della quale ne ho trovato un paio di versioni, ma in realtà non riuscivano a soddisfarmi, anche perché entrambe utilizzano il lievito chimico, mentre io voglio servirmi della pasta madre.
Dopo una serie di tentativi, ho raggiunto quello che desideravo ed ora posso mostrare al mondo la mia creatura! :))
Ringrazio Mangiare Matera per l'opportunità di utilizzare la semola rimacinata Senatore Cappelli, della quale ho già parlato nel post precedente, perché è favolosa, fa davvero la differenza.

La piada dei morti è un dolce tipico della zona di Rimini, la Romagna marittima a tutto tondo. Si prepara nel periodo dei morti (sono un po' lunga per i motivi di cui sopra..) perché è il momento in cui la frutta secca è al top e anche perché uno degli ingredienti è il vino nuovo.




Ingredienti:

Per il lievitino:
gr. 150 di pasta madre rinfrescata il giorno prima
gr. 75 di acqua tiepida
gr. 150 di semola rimacinata

Per la piada:
gr. 200 di semola rimacinata
1 uovo
1 bicchiere di vino rosso novello 
gr. 50 di pinoli
gr. 50 di noci
gr. 50 di mandorle
gr. 100 di uva passa
gr. 100 di zucchero di canna
1 dl di olio extravergine d'oliva delicato

Mettere in ammollo l'uva passa nel vino novello (io ho utilizzato la cagnina).

Preparare il lievitino:
Rompere a pezzetti la pasta madre e scioglierla con l'acqua calda. Aggiungere la semola e impastare bene fino ad ottenere un impasto liscio. Metterlo in una ciotola, praticare un taglio a croce,  coprirlo con un telo umido e farlo lievitare al caldo per almeno un'ora, fino al raddoppio del volume.

Tritare insieme la frutta secca. Prendere il panetto lievitato, metterlo nell'impastatrice e aggiungere tutti gli ingredienti. Lavorare poco l'impasto che dovrà risultare molto umido.
Rivestire una teglia da forno rotonda con la carta forno e riempirla di impasto. 
Coprire la teglia con il telo umido e far riposare al caldo l'impasto per 5 ore.
Cuocere per 40 minuti a 200° con un contenitore d'acqua all'interno del forno.

Perfetto per finire una tipica merenda romagnola con un bicchiere di cagnina o vin brulè.


Con questa ricetta partecipo a Mangiare Matera.





giovedì 21 novembre 2013

Maltagliati di semola al cinghiale e cavolo romano



Al raduno del forum Cucina Italiana, organizzato da Diana Monaco nella sua splendida Bordighera, questo succulento piatto era stato proposto e cucinato da Maria Toti, cara amica made in Tuscany, della quale ho già parlato diverse volte, soprattutto in occasione del mio contest "Ti cucino a fuoco lento" al quale lei ha dato un importante contributo.
Un primo piatto di grande sostanza, molto saporito che ho amato immediatamente e che da allora ho sempre pensato di rifare. Quale momento migliore se non il contest di Mangiare Matera?

Ho preparato i maltagliati con la semola Senatore Cappelli, m e r a v i g l i o s a !!!
Il suo nome deriva in onore del senatore abruzzese Raffaele Cappelli, promotore nei primi del novecento della riforma agraria che ha portato alla distinzione tra grani duri e teneri.
E' un grano antico, riscoperto e rivalutato come cereale d’eccellenza, grazie alle sue particolari caratteristiche, quali l'alto contenuto di aminoacidi, vitamine e sali minerali che lo rendono molto digeribile.
Il grano Senatore Cappelli è prodotto esclusivamente mediante coltivazione da agricoltura biologica in una zona collinare incontaminata dell’entroterra lucano, senza subire le alterazioni delle tecniche di manipolazione genetica dell’agricoltura moderna, che sacrificano sapore e contenuto tradizionale a vantaggio di rendimento elevato.

Questa è la mia ricetta per Mangiare Matera e per inciso, Maria con questo primo ha vinto alla sua partecipazione alla Prova del cuoco. Mi porterà fortuna?? :)))

Maltagliati di semola al cinghiale e cavolo romano

Per due persone (intese come due buone forchette!!):

Per i maltagliati:
150 gr. di farina di semola Senatore Cappelli
50 gr. di farina di farro Mulino Marino
2  uova bio

Per il condimento:
200 gr. di sottofiletto di cinghiale
50 gr. di lardo di colonnata
1 scalogno
½ palla di broccolo romano (cavolfiore pagoda)
olio evo
sale e pepe q.b.
parmigiano reggiano



Preparare la pasta per i maltagliati:
Mischiare bene le due farine, tenendone da parte un po' e aggiungerla nel caso serva. Impastarla con le due uova intere, fino ad ottenere un impasto liscio e morbido. Far riposare l’impasto sul tagliere per mezz'ora circa,coperto con una tazza di ceramica. Tirare la sfoglia non molto sottile, lasciarla asciugare come per fare le tagliatelle, poi arrotolarla e tagliarla grossolanamente.
Preparare il ragù:
Sbollentare velocemente le cimette del broccolo romano in acqua salata, in modo che rimanga croccante, scolarle, tagliare in due quelle più grosse e tenerle da parte. Non buttare l'acqua di cottura che servirà per cuocere la pasta.
Tagliate a coltello a piccoli pezzettini il sottofiletto di cinghiale, tritare la cipolla e il lardo. In una padella (meglio il Wok) mettere 1 cucchiaio di olio evo, la cipolla ed il lardo e far insaporire; appena la cipolla è appassita ed il lardo sciolto, aggiungere il cinghiale, salare e farlo cuocere mescolando spesso, aggiungendo all'occorrenza qualche cucchiaio di acqua di cottura. Cuocere fino a quando i bocconcini di cinghiale diventano teneri e il tempo dipende molto dalla carne in se. Calcolare almeno tre quarti d'ora. 
Aggiungere al ragù le cimette di cavolo. Cuocere i maltagliati nell'acqua di cottura del cavolo romano e scolarli al dente.
Versarli nel wok e mantecarli con un pezzetto di burro.
Servirli con parmigiano reggiano.



Con questa ricetta partecipo a Mangiare Matera.





martedì 12 novembre 2013

Confettura di anguria bianca.



Il primo incontro con questa superba marmellata risale ad almeno venti anni fa, quando un caro amico me ne fece omaggio di un vasetto preparato dalla sua mamma, non prima di averne decantate le lodi.
Non fatico ad affermare che è una delle migliori confetture preparare che premio ex equo con quelle di mirtilli, fragole e rabarbaro e arance amare.

Che cos'è l'anguria bianca?
E' un frutto di cui ne esistono di due varietà, entrambe simili all'anguria tradizionale, coltivate solo per questo uso, perché consumate come frutto non sono buone, chiamate anche zucca cedrina.
La prima, meno comune dalle nostre parti, è un'anguria bianca con polpa bianca e semi rossi a frutto rotondo. 
La seconda è la zucca del Siam  con foglie somiglianti a quelle del fico, utilizzabile da giovane come zucchino, polpa bianca ma semi neri, conosciuta solo una varietà a frutto allungato. 
L’anguria bianca si raccoglie da fine settembre in avanti, prima che geli. A volte riesce a maturare bene già in campo e in tal caso la screziatura bianca della buccia assume un colore giallognolo. 
Normalmente si raccolgono e si conservano in un locale asciutto ed aerato, al riparo dal gelo, in questo modo si riesce a tenere anche per diversi mesi.

E' un frutto che costa pochissimo. Al mercato dei contadini ho pagato un'anguria di più di 8 chili 2,85 euro!
E' faticosissima da lavorare, servirebbe l'aiuto di un piccolo Hulk personale, perché la buccia è durissima, ma alla fine il risultato è talmente appagante e sorprendente che ne vale assolutamente la pena.

Anche per questa confettura ho seguito l'oramai più che collaudato metodo Ferber.

Confettura di anguria bianca


Sbucciare la zucca, tagliarla a fette spesse non più di due dita. 
Togliere pazientemente tutti i semi e tagliarla a dadi.
Per ogni chilo di zucca, mettete 3 hg di zucchero di canna, il succo e la buccia grattugiata di un limone e aggiungete una stecca di vaniglia ogni due chili di polpa.
Metterla a riposare in una ciotola di vetro coperta con la pellicola, per 24 ore.
Trascorso questo tempo, separare il liquido dalla frutta e metterlo a bollire, schiumando se necessario, per almeno 15 minuti. 
Rimettere la frutta nella ciotola di vetro, coprirla con il liquido bollente e rimetterla a riposare sempre coperta da pellicola, per altre 24 ore.


Il terzo giorno con l'aiuto della schiumaiola, raccogliere la frutta e tenerla da parte. Recuperare il succo prodotto portarlo ad ebollizione in una pentola di rame per 5 minuti. Lo sciroppo si concentra quando raggiunge i 110° nel termometro.
Aggiungere la frutta, mescolare delicatamente, schiumare e proseguire la cottura a fuoco vivo.
Mantenere la cottura circa 15 minuti o per il tempo necessario per raggiungere la nappatura prevista. Mescolare frequentemente.
Con il minipimer la tritare un poco, cercando di mantenere la metà del quantitativo a pezzetti.
A cottura ultimata invasare, chiudere e rigirare per creare il sottovuoto.

Buona serata.
Sabrina


giovedì 7 novembre 2013

Zuppa di patate rosse

Un paio di domeniche fa ho visto una vecchia puntata di Mela verde, programma televisivo che tratta di agricoltura, ambiente e tradizioni italiane. Uno dei servizi proposti raccontava di una piccola malga a conduzione familiare, situata nell'omonima Val Canali, ai piedi delle Pale di San Martino, la Malga Canali. Per me è stato un colpo di fulmine, me ne sono completamente innamorata. E' un posto che fa sognare in tutto e per tutto. 
Il panorama, siamo sulle Dolomiti e non credo che ci siano montagne più belle al mondo.
La proposta che questo agriturismo offre: l'ospite è accolto come fosse una persona di famiglia. Vengono serviti piatti della tradizione rurale direttamente a tavola. La signora Gianna, la capostipite, ha sempre il grande paiolo di rame con la polenta che cuoce dentro il grande camino sempre acceso, che serve con salsicce e con il formaggio tipico locale, fatto da loro con il latte dei loro animali, la toséla. In pratica quasi tutto quello che si mangia alla malga è prodotto da loro come si faceva una volta, con passione e semplicità. 

Cercando su google ho anche trovato una splendida iniziativa alla quale si può partecipare in estate alla Malga Canali. Al costo di sette euro pro capite, si parte alle cinque di mattino da Cant del Gal (ma che nome meraviglioso è????) per l’ escursione in compagnia di Mauro, guida del Parco Naturale di Paneveggio – Pale di San Martino. Un'ora più tardi si arriva a Malga Canali dove c'è Gianna con i suoi familiari ad accogliervi e con loro si partecipa a tutte  le attività mattutine della fattoria, come radunare gli animali dal pascolo e e portarli in stalla per la mungitura. Si prosegue con dar da mangiare a conigli, galline, capre e asini e riordinare la stalla. Si fa la toséla e mentre si attende la cagliata, Lucia e Rita, le figlie, vi prepareranno una colazione di quelle belle rustiche, con i prodotti della malga. Ma il pezzo forte saranno i racconti di Gianna, di quando era bambina e di oggi che è diventata nonna. Verso le dieci si rientra a Cant del Gal oppure si prosegue per le molteplici avventure che questa valle biodiversa regala.

Beh che dire, mi è piaciuta talmente tanto che l'ho messa in cartellone per la prossima estate, un we lungo in questa valle di sogno non me lo toglie nessuno.

Ho trovato questo video su you tube che ne offre uno scorcio. Ma se vi capita di trovare la vecchia puntata di Melaverde, non perdetela perché è emozionante. 


Ho voluto rifare un piatto forte della Malga Canali, la Zuppa di patate
E' una zuppa di riciclo per utilizzare il brodo della domenica rimasto e il gambuccio del prosciutto. Le patate in casa non mancano mai e sono sostanziose, io ho usato quelle rosse che ho comprato a Brisighella domenica scorsa. Una zuppa che è un piatto unico, un comfort food da gustare nelle sere fredde d'inverno, che sa tanto di famiglia, di tradizione, semplicità e amore.

Zuppa di patate rosse



Ingredienti per 4 persone:

gr. 200 di gambuccio di prosciutto crudo
4 grosse patate rosse 
brodo di gallina q.b.

Mettere a scaldare in un tegame il brodo sgrassato, preferibilmente non salato per evitare che poi la zuppa diventi troppo sapida data la presenza del prosciutto.
Tagliare a dadini il prosciutto e metterlo a cuocere in una pentola di coccio. Non c'è bisogno di aggiungere olio perché è sufficiente quello prodotto dal grasso del prosciutto che si scioglie mentre si cuoce.
Lavare e pelare le patate e tagliarle a cubettini. Aggiungerle al prosciutto e farle insaporire per qualche minuto. Aggiungere il brodo bollente fino a coprirle. Cuocere la zuppa per almeno un'ora a fuoco lento, aggiungendo il brodo sempre bollente man mano che si asciuga.
Si può servire con una fetta di pane abbrustolita e un bel bicchiere di vino rosso.
Il brodo di gallina si può sostituire con un brodo vegetale per una zuppa più leggera...ma è tutta un'altra cosa.
A presto.
Sabrina